Viceparroco

Uno ancora piĆ¹ grande

maggio '13

Porto ancora nella mente  il ricordo della Veglia della Giornata mondiale della gioventù a Colonia nel 2005: al termine del discorso di papa Benedetto ai giovani, si fece un gran silenzio in quella spianata; eravamo andati per ascoltare le parole del Papa, ma adesso lui ci indicava Uno ancora più grande da ascoltare: Gesù, e il silenzio e il raccoglimento caduti tutto d’un colpo parlavano da soli. Sapevamo che ora la presenza di Dio in mezzo a noi non era solo più spirituale ma «fisica»: Gesù stesso, nel suo Corpo e nel suo Sangue, vivo e presente nell’Ostia consacrata veniva portato sotto i nostri occhi. Quanti metri ci separavano dal grande palco! Ma non importava: Lui era lì, vicino come ogni volta che lo andiamo a trovare nei Tabernacoli delle nostre Chiese. Lì ho avuto la comprensione forte e immediata di quanto è grande e bella la Chiesa: papa Benedetto ci aveva appena detto che la Chiesa è come una grande rete gettata nel mare che raccoglie tutti i pesci e che purtroppo nei secoli questa rete si è anche un po’ strappata e rotta, e all’interno ci sono pesci buoni e cattivi (un po’ come è anche ciascuno di noi, in fin dei conti); ma adesso, in quel momento, che importava se la rete era così? C’era Gesù, Lui era vivo e vero sotto i nostri occhi! Lui è vivo e vero ogni volta che lo riceviamo nella Comunione o lo adoriamo vivo e presente nel Tabernacolo. Nella Chiesa (la grande compagnia di amici che cammina verso il regno di Dio) c’è Gesù, e questo conta più di ogni altra cosa.

Papa Francesco, durante la Veglia di Pentecoste, rispondendo alle domande che gli hanno rivolto, ha raccontato di come ogni sera lui si porti davanti al Tabernacolo dove c’è Gesù e lì lui si sente forte. E ha aggiunto che non importa il fargli lunghi discorsi, ciò che conta è che io sono davanti a Lui, e Lui mi guarda: proprio questo ci dà forza. Impariamo anche noi a portarci con più frequenza davanti al Tabernacolo: quante Chiese in Chieri custodiscono Gesù presente nell’Eucaristia: facciamogli visita per qualche momento, mentre corriamo tra un affare e l’altro, per portargli la nostra adorazione, il nostro ringraziamento e anche le nostre richieste. 

 

don Giovanni

Domenica delle Palme

marzo '13

Mi stupisce sempre l’accostamento che la liturgia fa nella giornata che apre la Settimana Santa: Domenica delle Palme e della Passione del Signore; per un momento ci viene messo sulla bocca il canto della folla che accoglieva Gesù in Gerusalemme: «Osanna, benedetto colui che viene nel nome del Signore!».  Poco dopo nella Messa riascoltiamo il vangelo della Passione dove più o meno la stessa folla grida a Pilato: «Via! Via! Crocifiggilo!».  Il vangelo ci racconta, nella versione narrataci da san Giovanni, che questo era già capitato qualche anno prima a Cafarnao: quando Gesù compie il miracolo della moltiplicazione dei pani, la gente è pronta a venire a prenderlo per farlo re; ma subito dopo Gesù spiegherà il suo gesto, e si presenterà Lui come «il pane della vita»: chi mangia la sua carne e beve il suo sangue ha in lui la vita; anche qui le folle spariscono. Si ritirano e non vanno più con lui, commentando: «Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?».

Mi sono chiesto tante volte: se io fossi stato mischiato a quella folla, cosa avrei fatto? Sarei rimasto o sarei andato via? Avrei gridato un giorno: «Osanna» e poco dopo: «Crocifiggilo!»?  Poi mi vengono in mente le mie confessioni, quando mi ritrovo “dall’altra parte” del confessionale, e vedendomi mi dico: avrei fatto, duemila anni fa, quello che faccio oggi, torno cioè a dire: «Osanna» quando prego, quando celebro Messa, quando parlo del Signore; e torno anche a dire: «Crocifiggilo» con i miei peccati, con il fare di testa mia.

 Tra la folla che ha acclamato al Signore c’erano anche i dodici, c’erano anche Pietro e Giuda, e anche loro davanti alla passione hanno rinnegato il Signore. Pietro però ha voluto ri-incrociare lo sguardo del Signore, per pentirsi e piangere i suoi peccati e ripetere sul lago di Tiberiade: «Tu sai tutto, Signore, tua sai che io ti amo». Giuda non si è più voltato e ha voluto rendere definitiva la chiusura del suo cuore. Abbiamo bisogno di un’altra Settimana Santa: proprio questa che si apre. Preghiamo che, specialmente accostandoci al confessionale, sappiamo seguire la via di Pietro e intravvedere lo sguardo del Signore Gesù che proprio per noi, per me!, sale fino al Calvario

don Giovanni

Tra voci e parole

dicembre '12

 

Ognuno di noi ha già fatto a fa esperienza di essere “riempito di parole”: quante volte arriviamo alla fine di una giornata e desideriamo non sentire più parole, perché ne abbiamo già ascoltate troppe. Il tempo quotidiano è già sufficientemente abitato da tante parole: quelle della TV, dei giornali, dei nostri colleghi di lavoro…chi più ne ha più ne metta. Le due domeniche centrali del tempo di Avvento ci presentano la figura di Giovanni il Battista, che definisce se stesso: «Voce di uno che grida nel deserto». E’ un’altra voce che si aggiunge tra le tante? Forse no: san Luca, per descrivere l’inizio della missione del Precursore, osserva: «la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto». E’ una voce diversa dalla altre perché riempita da una Parola, quella di Dio stesso. Le parole degli uomini, le parole nostre sarebbero davvero “piene” e non vuote se prima sapessimo metterci in ascolto, in ascolto di Dio innanzitutto. E la vicenda del Battista sembra descriverci tre caratteristiche per pesare le nostre parole, per non pronunciare parole vuote, ma che edifichino: innanzitutto Giovanni si mette in ascolto di Dio, ascolta quanto Dio ha da dirgli. Nella nostra preghiera, nel leggere e meditare in preghiera, anche personalmente, la Sacra Scrittura e nell’ascoltare fedelmente quanto la Chiesa nostra madre ci trasmette, si ripete quanto ci ha descritto san Luca :«la parola di Dio scese su…». Poi la parola di Dio punge e spinge sempre alla conversione: «Fate frutti degni di conversione», dice Giovanni a chi lo ascolta. Le parole vere non spingono a cambiare gli altri, a modificare ciò che non va negli altri, ma a far cambiare me, a modificare e smussare i miei angoli e le mie intemperanze. E infine san Giovanni paga il suo parlare con il perdere la sua testa, a causa dell’aver predicato la verità. Le parole vere, pronunciate a partire dal metterci in ascolto di Dio, non sono mai parole accomodanti e applaudite dai più, ma parole scomode per noi e per il mondo.

A commento dell’episodio della discesa dello spirito di profezia sui settanta uomini scelti, Mosè commenta: «Fossero tutti profeti in Israele!». Quanto questo può essere vero se ci mettiamo in ascolto del Signore che ci parla e che ci viene incontro!

 

Don Giovanni

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