Viceparroco

Amerai!

novembre '12

 

Il Cardinal Luciani – che di lì a poco sarebbe diventato Giovanni Paolo I – a commento di questo versetto del Vangelo riportava un’intervista immaginaria fatta a Santa Margherita, sposa di san Luigi IX re di Francia, quando era sul punto di imbarcarsi per le crociate con suo marito. Lei non sapeva dove suo marito fosse diretto, e non aveva nemmeno il minimo interesse a visitare i luoghi in cui avrebbero dovuto fare scalo; neppure era troppo preoccupata dei pericoli a cui si sarebbero esposti in quei mesi. Alla regina interessava solo una cosa: stare col re. «Più che andare, io lo seguo». E commentava il cardinal Luciani «Quel Re è Dio e Margherita siamo noi, se amiamo Dio sul serio». Se amiamo Dio per davvero le condizioni in cui ci troviamo sono davvero relative: che importa essere ricchi o poveri, sani o ammalati? Non è forse vero che il problema non sono queste situazioni ma il nostro cuore troppo piccolo in cui Dio è allo stretto? Forse, se non si trattasse del vangelo, ci sentiremmo in difficoltà al sentire che ci viene comandato di amare: possono comandarmi di andare in un posto o in un altro o di eseguire un certo compito piuttosto che un altro, ma come obbedire ad un comandamento che mi chiede di amare? Di questi tempi il Signore non farebbe certo notizia nelle prime pagine dei quotidiani: si sente parlare di amore “a tempo”, “fin che dura, fin che si sente”…come ascoltare un comandamento che mi chiede: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore»? Certo l’emozione è una parte dell’amore inteso come sentimento, eppure sappiamo tutti bene per esperienza diretta che le emozioni non sono durevoli, quanto meno non possono essere l’unico pilastro su cui costruire. Quando l’emozione cade, che cosa resta, se non si è costruito solo sul sentimento? La sostanza, lo spessore reale dell’amore: il cercare il bene dell’altro e volerlo con tutte le nostre forze. Applicando questa esperienza umana a Dio, «amerai il Signore Dio tuo» significa riconoscere che in Lui c’è il Bene più grande, un Bene che ama me e che ha dato tutto se stesso per me. L’anno della fede che abbiamo da poco iniziato ci spinge ad aprire gli occhi sul fatto che io sono amato da Dio, che mi ha voluto perché mi ha amato e da qui può nascere un amore che corrisponda. «Amore con amor si paga» dice un detto popolare. Quando anche l’amore umano avrà preso le misure di questo amore che viene da Dio allora avremo portato a compimento la legge di Dio: «amerai il prossimo tuo come te stesso».

Don Giovanni

Il Vangelo di Domenica 23 Settembre

settembre '12

 

«Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti»: la “parrocchia itinerante” del Signore, formata ieri come oggi da chi dietro a Gesù ci stava di continuo – i dodici apostoli - e da chi andava e veniva – la gente che Gesù incontra per le strade – riceve una grande lezione dal Maestro. Quasi ci pare di vedere sotto i nostri occhi Pietro, Giacomo, Giovanni…affaccendati  lungo la strada a capire chi tra loro contasse di più, chi aveva le idee migliori e vincenti, chi potesse proporre le strategie più efficaci. Troppo in fretta avevano dimenticato l’avvertimento che Gesù aveva dato su se stesso: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini»: voi parlate di gloria, di potere, di primi posti…io invece parlo di donare, di donarsi. Oggi come duemila anni fa queste voci ritornano, ma nella Chiesa che rende vivo e presente il Signore in mezzo al mondo, tra le fragilità e le intemperanze di quanti la formano, restano scolpite a lettere chiare queste poche parole: «Se uno vuole essere il primo sia il servitore di tutti». Il servo sa bene che non è padrone di quanto amministra: davanti a quanto il Signore ci ha affidato, quanto la Chiesa trasmette lungo i secoli, nessuno può sentirsi padrone, cambiando a suo piacimento o a seconda dei gusti dei più. Nelle prossime settimane papa Benedetto XVI aprirà l’anno della fede, per ricordarci che tutti noi siamo servitori di quanto il Signore ha messo nelle nostre mani e che la fede è già un meraviglioso albero, alla cui ombra tutti possono trovare ristoro, e che continua a germogliare e dare splendidi frutti; l’operato di ciascuno di noi – sacerdoti, catechisti, religiosi, mamme e papà – custodisce, cura e diventa veicolo di nuovi frutti a quanto già è stato piantato e lo Spirito Santo fa crescere. Questa – forse – è la caratteristica principale in chi serve: ricordare che non è padrone di quanto amministra, ma in primo luogo ammiratore, che resta stupito e affascinato dall’opera di Dio. 
Se qualcuno avesse ascoltato il discorso dei dodici lungo la strada forse ne sarebbe potuto restare scandalizzato: «Bella compagnia si è scelto il Signore!». Preghiamo che le nostre comunità si mettano sempre di nuovo alla scuola del Maestro per imparare a donarsi e non preoccuparsi di perdere se stessi, e quando siamo tentati di lamentarci della imperfezione della Chiesa, oggi come ieri, pensiamo che in un luogo perfetto non ci sarebbe spazio per me, così imperfetto e così carico di miserie.
 
                                                                                                               Don Giovanni

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